HADAR E MEITAVEL
Racconto ispirato da riflessioni cabalistiche sui Re di Edom
(Nuova versione. Per la versione precedente clicca qui)
Questo racconto continua la storia di Shaul. Eravamo a Rechovot ha-Nahar, la città dall’ampio fiume. Erano passate molte e molte generazioni. Il grande orologio in cima alla torre era ormai fuori uso, e nessuno si era preoccupato di ripararlo. Le nuove generazioni avevano simpatici strumenti digitali, cellulari, computer, orologi al quarzo. Molte cose erano cambiate. Il re Shaul era solo ricordato dai libri di storia, o nelle enciclopedie on-line. Anche per i meglio intenzionati sarebbe stato difficile raccogliere abbastanza elementi per scrivere una tesi su Shaul, che evidentemente era una di quelle famose gocce d’acqua rimaste ad imputridirsi in fondo ad un secchio, delle quali nessuno si da pena. La monarchia non esisteva più. La democrazia imperava al suo posto. Era l’era del “politically correct”, e tutti facevano a gara per mostrarsi aperti, tolleranti, a favore dei diritti delle minoranze etniche, ecc. ecc. In realtà le birrerie e i bar lavoravano come prima, più di prima, e le ideologie si discutevano meglio se un po’ brilli. In Parlamento nuove leggi venivano ideate e trasgredite in continuazione, le vecchie regole velocemente abolite. Nessuno si ricordava di un’antica tradizione che voleva limitare gli amori ad un massimo di un’anno. Non ce n’era bisogno, dato che in genere le coppie non duravano comunque molto di più. L’economia e la tecnologia si erano sviluppate. sembrava un mondo fantascientifico a confronto col vecchio mondo dei grandi re. Ora c’erano dei presidenti, dei governatori, alcuni soddisfacenti, altri meno. Sembravano però tutti accomunati da un’unica caratteristica: l’oscurità e la volgarità delle loro origini, oltre alla grettezza e alla meschinità dei loro caratteri. Per carità, molti di loro studiavano, si facevano una cultura, avevano un parlare forbito e carismatico. Erano molto bravi soprattutto a promettere aiuti e pace ai paesi poveri, e l’immancabile riduzione delle emissioni di gas tossici. Infatti il problema ecologico non era più quello delle acque del fiume, che si stavano sporcando per via dell’aumento della popolazione, bensì le grandi quantità di fumi prodotte da innumerevoli industrie.
E la cultura? Si poteva studiare di tutto, veramente di tutto. Però, poi, per divertirsi, la gente aveva un sofisticato sistema per guardarsi l’uno nella casa dell’altro, tramite una fitte rete di web-cam, alcune visibili altre nascoste. Avveniva così che, in qualunque momento della giornata, ci si poteva sdradiare davanti allo schermo, scegliere quale vicino o illustre sconosciuto si volesse osservare, e guardare cosa stesse facendo o dicendo.
I teorici della cultura dicevano che si trattava di una inevitabile conseguenza dello sviluppo sempre più capillare della democrazia, e del risultato di vari programmi televisivi, risalenti a pochi decenni prima, col nome di “grande fratello”. Nessuno però si poteva spiegare come mai lo si chiamasse “fratello”, nè tantomeno “grande”. Sta di fatto che la gente si divertiva davvero in quel modo. Sale cinematografiche e teatri erano ormai in disuso.
La spiegazione dominante che veniva data alla vita era decisamente di tipo materialista. Si pensava che la cosa più importante fosse arricchirsi il più possibile, e il godersi ogni forma di piacere. La pratica delle religioni era ormai quasi del tutto scomparsa. Grande sforzo veniva investito nella salute pubblica. Andavano molto forte i trapianti, con organi presi da altri individui, tipo gli abitanti dei paesi poveri, che tuttavia ancora esistevano nel mondo, oppure organi di natura artificiale. Non ci si preoccupava molto delle regole del benessere o della sana alimentazione, si pensava che, se un organo si fosse guastato, si sarebbe sempre potuto sostituirlo, e continuare con lo stile di vita precedente. In realtà, la qualità della vita non era un gran chè, e la maggior parte delle persone moriva ancora tra i settanta e gli ottant’anni, dopo lunghe agonie, intubati e tenuti in vita da complessi macchinari. Ma i giovani non erano preoccupati da tali prospettive. Discoteche e pub prolificavano. Alcuni dei vecchi pregiudizi erano caduti, e alla fine delle loro nottate, chi voleva, si recava su vicine piste automobilistiche chiuse al traffico pubblico. Lì poteva correre all’impazzata, senza mettere a repentaglio la vita di altri, se non di coloro che liberamente sceglievano di prendere parte a quelle esibizioni. Se avvenivano incidenti, riguardavano solo coloro che avevo di proprio pugno firmato il foglio della piena assunzione di ogni responsabiltà. Pastiglie per controllare gli stati d’animo erano molto diffuse, e ai primi segni di tristezza o depressione, si inghiottivano decine di pillole di sostanze sempre più sofisticate. Non è che esse togliessero davvero la pena, ma erano dei potenti anestetici. Faceva scalpore la notizia della prossima commercializzazione di un perfezionatissimo apparato informatico, costituito da tuta e casco, indossati i quali e collegandosi a potenti super-computer, si sarebbe potuto vivere le sensazioni e le situazioni più belle, felici e piacevoli, che ci si potesse immaginare, ed oltre l’immaginabile.
A dire il vero, qua e là c’erano delle voci che dissentivano, e mettevano in guardia da tutto ciò, puntanto il dito contro la debolezza che tali sistemi artificiali causavano. Motivi di preoccupazione infatti ne esistevano, dato che ai confini dello stato vivevano altri popoli, molto più semplici, poveri e meno sviluppati, ma molto più numerosi, e soprattuto, forti ed aggressivi. Tuttavia gli abitanti del paese, che aveva come capitale la Città del Grande Fiume, non se ne preoccupavano. Avevano infatti costruito un complicatissimo sistema di difesa: barriere elettroniche, piccoli e grandi missili atomici, che avrebbero potuto venire lanciati contro eventuali aggressori, a discernimento del super computer che governava automaticamente l’intero sistema di difesa. I margini di errore erano molto bassi, si dice il solo tra lo 0,23 e lo 0,51%, trascurabili, quindi.
Tutttavia, come in ogni società di sempre, non tutti erano cosi. Vi ricorderete dei pochi poeti, musicisti e sognatori dei tempi di Shaul, quelli che credevano che l’amore potesse durare più del classico anno, quelli che si radunavano sulle sponde del fiume, ed attingevano acqua da poche fonti nascoste. Ebbene, incredibile ma vero, erano sopravissuti, e i loro discendenti si erano radunati in società segrete. Li univano la passione per la poesia, per la musica, e per le vecchie, antiche Scritture Sacre. La società contemporanea le aveva ormai relegate a studi universitari specialistici, che le trattavano come pezzi di archeologia ed antiquariato, interessanti aspetti di civiltà ormai defunte da tempo. Ma i nostri amici non la pensavano allo stesso modo. Tra di loro andava particolarmente in voga un libro scritto da un certo Isaia, un profeta israelita vissuto migliaia di anni prima. Dicevano che, a leggerlo in un certo modo, questo libro facesse un effetto molto superiore, e soprattutto più sano, di quello della grande varietà di rimedi bio-chimici che tutti prendevano per sentirsi bene. Vero o falso che fosse, i nostri amici consideravano tutto ciò molto seriamente.
Hadar era uno di loro. In generazioni precedenti sarebbe stato definito un drop out, un disadattato. Aveva avuto una vita simile a quella di tanti altri giovani, ancora ai tempi nei quali, usciti dalla discoteca, ci si metteva a correre lungo le strade normali, mettento un po’ tutti in pericolo, prima della decisione di costruire per loro degli appositi circuiti privati e separati. Sopravvissuto a vari pericoli, Hadar non era più giovane. Aveva provato un po’ di tutto nella sua vita, anche ad amare, e forse era quella l’esperienza che l’aveva maggiormente toccato. Irreparabilmente romantico, teneva un diario dove annotava le poesie che avevano contrassegnato i suoi amori e momenti più importanti. Hadar l’aveva cercata e come l’anima gemella! In realtà, il concetto di anima gemella era totalmente in disuso nella cività a lui contemporanea. Al suo posto si parlava di compatibilità di vari ordini e di vari gradi. C’era un test da fare per valutare chi potesse essere il partner adatto ad una notte, o a una settimana, perfino ad un mese di attività sessuale: età, altezza, colore della pelle, dimensioni degli organi sessuali, gusti alimentari, ecc. C’era perfino un apparato fantascientifico che valutava l’odore dell’alito. In base a dei complessi modelli algoritmici, si tracciavano infine delle graduatorie. Si poteva così arrivare ad una rosa di nomi di persone adatte. A quel punto non rimaneva altro da fare che telefonare, o far telefonare dalla propria segretaria, per vedere se l’altra persona fosse libera quella sera, oppure se si poteva combinare per il giorno successivo, sempre a patto che qualcuno non cambiasse nel frattempo idea.
Le pene d’amore non esistevano più. Uno perchè ormai pochissimi si innamoravano, due perchè tra le centinaia di psicofarmaci, ve ne erano alcuni adatti proprio a non far sentire pene di abbandoni o di rifiuti da parte di ex amanti. I due prodotti più diffusi si chiamavano “tapuchim” (mele) e “ashishiot” (focacce di uva passa). Pochi si chiedevano le origini di quei due nomi così strani, probabilmente coniati dagli uffici di marketing delle case farmaceutiche che li producevano. Hadar non ne voleva sapere nulla di quei sistemi! Rischiava la pena e il dolore, pur di amare e sentirsi amato. Varie volte in passato era stato segnalato come potenzialmente “sovversivo”. Per fortuna, il lassismo dei sistemi giudiziari e polizieschi si era infine accontentato di etichettarlo come “eccentrico”, “asociale”. Non era l’unico, Hadar. Altri uomini e donne provavano come lui lo stesso stupore e sfiducia nei confronti della direzione che la vita stava prendendo. Sognavano, ecco cos’erano, dei sognatori, sognavano il ritorno a dei valori più classici, più umani. Più che ritorno, si parlava di scoperta, di cambio di direzione, tanto ormai quei valori erano lontani.
Un’aspetto curioso di questi disorganizzati gruppi di sognatori, era che essi si facevano chiamare “bnei neviim”, o altre volte “bnei brak”. A chi chiedesse loro cosa significassero queste espressioni rispondevano: figli dei profeti, oppure, figli del fulmine. Alcuni di loro conservano le foto di antichi maestri spirituali, esistiti in epoche nelle quali si credeva ancora che il corpo avesse un’anima, prima che la nuova biologia dimostrasse, senza ombra di dubbio, che ciò non poteva essere vero. Infatti nemmeno i microscopici elettronici della nuova generazione (che riuscivano perfino a vedere i quark) non ne avevano trovato traccia. Proprio per scupolo, più che per necessità, si stavano preparando dei nuovi miscroscopi, in grado perfino di vedere il gravitone, l’unica particella che ancora eludeva le ricerce degli scienziati. Se perfino quel microscopio non avesse trovato traccia dell’anima, allora veramente, perchè preoccuparsi di antiche mitologie religiose?
Hadar e i suoi amici passavano molto tempo a leggere e a studiare, ed erano affascinati dai concetti scientifici e matematici che stavano alla base della moderna tecnologia. Semplicemente, non condividevano le conclusioni che i grandi guru delle accademie sbandieravano ai quattro venti, e rimanevano convinti di possibili altre spiegazioni. Uomini e donne, tra i bnei neviim c’era un po’ di tutto. Alcuni di loro erano persone all’apparenza normali, integrate, professionisti. Non tutti erano palesemente eccentrici come Hadar, ma tutti avevano la stessa bruciante passione per la conoscenza, per una nuova Conoscenza. Tutti loro cercavano il diverso, l’insolito, il nascosto, l’interiore. Molti ci erano arrivati semplicemente perchè volevano mangiare bene, e sottrarsi ai pesanti rituali alimentari della loro società: feste luculliane, cibi elaborati, micidiali bevande ad alto tasso alcoolico. Molti dei nostri bravi eroi, guardando il mondo intorno, sospettavano l’imminenza di un grande decadimento, di un crollo totale, come era avvenuto in passato a tanti grandi imperi, la cui storia si poteva leggere su Wikipedia. Tra di loro circolavano dei libri alternativi. Grande impressione aveva fatto un testo che citava un qualcosa tipo:
ciò che è in alto è come ciò che è in basso,
e ciò che è in basso è come ciò che è in alto,
per compiere il mistero dell’unità del tutto.
In un altro di questi testi “all’indice” si leggeva:
l’oro filosofico non è come l’oro volgare…
Infine, in un terzo, si vedeva l’immagine di un uomo ed una donna, che insieme, all’alba, raccoglievano la rugiada depositatasi durante la notte su di un largo panno steso. Si elogiavano le doti terapeutiche della rugiada. I nostri amici avevano una curiosa abitutidine, fin dai tempi del re Shaul, che non si era mai interrotta. Si ritrovano presso piccole fonti sconosciute, nascoste nei boschi, e invisibili ai milioni di webcam cbe spiavano dappertutto. E lì compivano questi strani rituali, seduti in silenzio con gli occhi chiusi, oppure cantando antiche melodie devozionali, o anche in piedi, facendo strani movimenti oscillatori col corpo, si imponevano le mani l’uno sull’altro. A volte, più semplicemente, studiavano insieme le arti dell’ormai scomparso misticismo. Li attiravano soprattutto i geroglifici, le rune, le lettere di antichi alfabeti sacri, ai quali essi attribuivano speciali poteri terapeutici. Uomini e donne, giovani ed anziani, senza impegni od obblighi di frequenza. Come chiamarla: una seconda vita? Oppure legittimi interessi culturali, anche se di stampo antico? Tollerati dal main stream sociale, a patto di non dare troppo nell’occhio, i nostri bnei neviim andavano e venivano. Nuovi curiosi arrivavano, ed altri, probabilmente stanchi e delusi, non si facevano più vedere.
Una donna giunse una volta in esplorazione… il suo nome?