Pesach e la Tav scritta sulla Fronte

COME USCIRE TUTTI

DALL’EGITTO E NON SOLO UN QUINTO DI NOI

“e i figli di Israele uscirono armati (chamushim) dalla terra d’Egitto” (Esodo 13, 18)

    Venerdì 15 aprile, 15° Nissan) faremo nuovamente memoria dell’Uscita dall’Egitto, celebrando il Seder di Pesach. L’evento avvenne più di 3300 anni fa, ma tutt’oggi è carico di insegnamenti importantissimi.

Un fatto forse non così noto è che soltanto un quinto di tutti gli ebrei che vivevano in Egitto allora riuscì a venirne fuori. Lo si deduce dal verso citato prima. La parola “armati”, chamushim, è scritta nella Torà: Cheit Mem Shin Yud Mem, come “chamishim”, che deriva da “chamesh”, cinque. Rashi, riprendendo un midrash, dice che solo un quinto degli ebrei uscì dalla terra della schiavitù. Gli altri quattro quinti erano morti durante la piaga dell’Oscurità.

Una percentuale del solo 20 % tra i “salvati” e i “perduti” è decisamente troppo bassa, scoraggiante. Cos’era successo? Perché così bassa?

La piaga dell’oscurità è il non aver aperto gli occhi. È un non aver voluto chiamare la realtà col suo nome. È mancanza di giusta valutazione ed apprezzamento. Chi non è uscito dall’Egitto è perché non voleva vedere cosa l’Egitto fosse veramente. Altro che il luogo dell’abbondanza, della tecnologia avanzata, della cultura evoluta! Agi, soddisfazioni, piaceri e divertimenti nell’esilio egiziano sembrano tali solo a chi tiene gli occhi chiusi. Ma di quali occhi si sta parlando? Non certo di quelli fisici, che tutti sappiamo tenere bene aperti. Si intende l’occhio della Consapevolezza superiore.

A questo riguardo confrontiamoci anche col seguente verso di Ezechiele (9, 3-4):

“Ed Egli chiamò l’uomo vestito di lino che aveva uno strumento da scriba al suo fianco. Gli disse D-o: passerai nella città, nel mezzo di Gerusalemme, e segnerai una Tav sulle fronti delle persone che gemono e si lamentano per le iniquità che vi si commettono.”

Questo verso è preceduto da altri nei quali si descrive l’arrivo di sei uomini armati con strumenti di distruzione, che stanno per mettere a ferro e fuoco la città. Il rischio di trovarsi coinvolti in eventi catastrofici è generale, non è limitato solo all’Egitto. Si pensi alla lista di luoghi e città che hanno conosciuto la distruzione: il mondo intero ai tempi del diluvio, Sodoma ai tempi di Abramo, l’Egitto, Babilonia, la stessa Gerusalemme, varie volte..

Se tali profezie vadano intese in modo letterale, o solo metaforico, oppure un po’ dell’uno e dell’altro, non è facile decidere. Probabilmente si tratta di entrambi quei modi. In ogni caso, la letteratura profetica abbonda di descrizioni di fenomeni ad alto potenziale distruttivo, che si tratti di guerre o epidemie o disastri naturali. E le cronache recenti non mancano di fatti che puntano in ognuna di quelle direzioni.

Al di là di eventuali intenzioni etiche, lo scopo di questo articolo vuole essere un richiamo al risveglio, all’apertura della Consapevolezza superiore. Soltanto ciò ci darà la possibilità di essere nel numero di coloro che vengono “risparmiati”. Non si pensi a soli scenari apocalittici. Anche vivere una vita intera nell’Oscurità ontologica ed esistenziale dell’Egitto Interiore è già un venir “spazzati via”. E ciò può succedere in ogni parte del mondo, occidentale o meno.

Nella visione di Ezechiele, D-o chiama l’uomo che ha lo strumento da scriba sul fianco, e gli dice di incidere una Tav sulla fronte di tutti coloro che si lamentano. Costoro sono già parzialmente consapevoli delle brutture e delle insufficienze del sistema nel quale vivono. In virtù della Tav incisa sulla loro fronte, verranno risparmiati dalle successive piaghe. La Tav simboleggia l’apertura completa, totale, dell’occhio della Consapevolezza superiore. I Cabalisti insegnano che nella forma di ogni lettera dell’Alfabeto ebraico possiamo distinguere quelle di altre lettere. È il caso della Tav, che è fatta da una Dalet a destra, e da una Nun a sinistra.

 

Dalet Nun insieme formano il verbo “Dan”, “Giudicare”.

La personalità dell’uomo e della donna d’oggi è tesa ad ottenere libertà ed indipendenza. Ci sono settori dove ciò è molto difficile (ad esempio, è indispensabile avere un lavoro o una professione retribuita, oppure, certe regole fondamentali del codice non possono venir trasgredite senza esporsi al rischio di venire arrestati e condannati). Ci sono altri aspetti della vita moderna dove libertà e indipendenza sono più facili da ottenere.

La persona che ricerca la sua libertà in quei campi, rifugge il giudizio, di solito etico, contenuto nei canoni religiosi o tradizionali. La persona vuole sentirsi libera, ed interpreta eventuali critiche altrui come “giudizi”. Ebbene, tutto dipende dal luogo della consapevolezza dal quale proviene il giudizio. Se è un luogo vicino all’emozione, allora è quello che in Cabalà si chiama Din, il braccio sinistro dell’Albero della Vita, la Forza, Ghevurà, la Severità. Qui il giudizio implica condanna e disprezzo. Ecco perché viene rifuggito o respinto da coloro che vogliono esplorare le loro libertà anche in ambiti considerati “trasgressivi”.

Il giudizio non può rimanere al livello del sentimento, della rabbia, dello sdegno, per essere efficace. Il giudizio deve salire, per arrivare ai “cervelli” dell’Albero, oltre le emozioni. La radice di Ghevurà – Din nell’Albero della Vita è Binà, l’Intelligenza. Questa è la Fronte sulla quale l’angelo pone il sigillo della Vita, la Tav, fatta da una Dalet e da una Nun. Qui il giudizio diventa pura e semplice valutazione ed apprezzamento.

Binà possiede Cinquanta Porte, Nun Sha’arim. Sha’ar in ebraico, Shin Ain, Resh, significa “lezione”, “pensare”, “valutare”, “considerare”. Ciò è ben lungi dal giudizio che implica condanna o svalutazione, rabbia e disprezzo. Qui abbiamo proprio il contrario: una obbiettiva e distaccata valutazione di ciò che succede, indispensabile per generare mutamento e trasformazione. Solo chi ha questo occhio superiore aperto e funzionante sfugge alla piaga dell’Oscurità, e agli strumenti di sterminio degli altri sei angeli pronti ad entrare nella città. Non si pensi infatti che Binà sia soltanto Intelletto, il solo emisfero cerebrale sinistro. Secondo il Tikkunei ha Zohar (nella sezione Patach Eliahu): Bina Liba, “Binà è il Cuore”. Salire a Binà significa quindi non giudicare più con il rigore bensì valutare ed apprezzare con Amore.

Presto sarà Pesach. Auguriamo a tutti una vera notte di Veglia, “leil shimurim”, una notte di guardia, senza dormire, con gli occhi aperti, e la Consapevolezza Superiore risvegliata, col suo sigillo di Vita inciso sopra

chag sameach

 

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