Il ritorno:

     dal Sangue al Vino alle Acque superiori



Una resa artistica del Graal, la coppa nella quale il Sangue ritornerà ad essere Vino,

e il Vino si trasformerà nelle Acque superiori della nascente Età Messianica.


Dal Sangue al Vino all’Acqua.

              Questo articolo si ispira a ad argomenti affrontati durante gli incontri sui 32 Sentieri della Sapienza. Riportiamo qui uno dei temi emersi e svolti. Ci sono sette lettere doppie nell’Alef Beit: Beit, Ghimel, Dalet, Kaf, Peh, Resh, Tav. Sull’Albero della Vita esse coincidono con i sette sentieri verticali (vedi immagine in formato grande). Tra le molteplici corrispondenze, le Sette Lettere Doppie possono essere collegare coi sette fluidi (nozlim) considerati tali dalla Halakhà ebraica:

                                  Beit, da Keter a TiferetRugiada


                                        Ghimel, da Chokhmà a ChesedAcqua

                                            Dalet, da Binà a Ghevurà =Vino

                                                Kaf, da Chesed a NetzachLatte

                                                    Peh, da Ghevurà a HodSangue

                                                         Resh, da Tiferet a YesodOlio

                                                                  Tav, da Yesod a MalkhutMiele.







         L'Albero della Vita coi 32 Sentieri. Evidenziati sono i sette canali verticali, connessi coi sette Fluidi.

       Questo diagramma insegna un qualcosa di più avanzato rispetto alla classica corrispondenza che li pone in relazione con le sette Sefirot inferiori dell’Albero, piuttosto che coi sette canali verticali. Ognuno di questi fluidi non è solamente una sostanza fisica, ma ha dei corrispettivi in alcune misteriose secrezioni di natura spirituale. Queste ultime esistono in natura, ma possono anche venire generate dall’essere umano. Ogni fluido ha molteplici significati ed effetti: sul mondo, sulla psiche e sull’anima. Non solo la Cabalà, ma anche l’Alchimia e altre grandi Vie verso la Conoscenza esplorano, conoscono e spiegano tali fluidi.

     Quando avvicinati uno ad uno e posti in relazione al passaggio da una Sefirà all’altra, i sette fluidi ci danno meravigliosi insegnamenti volti a migliorare gli aspetti più sottili ed avvincenti della vita. Ancora di più, ciò succede quando li combiniamo tra di loro. Facciamo un esempio. Nei Vangeli cristiani compare un cammino di trasformazione dall’uno all’altro di tre di questi fluidi: Acqua, Vino, Sangue. Da principio, Gesù trasforma l’acqua in vino, in buon vino (Giovanni 2). Poi, al momento dell’ultima cena (Matteo 26), Gesù offre ai suoi discepoli del vino, dicendo “questo è il mio sangue… in remissione dei peccati”. Lasciamo da parte le osservazioni di coloro che fanno notare l'esistenza di riti e culti analoghi (chiamati teofagia), nel mondo pagano, pre e post-cristiano. Lasciamo anche stare chi contesta il concetto della transustanziazione (peraltro diventato dogma solo dopo il questionabile Concilio di Trento) come fa la massima parte del mondo protestante.


                Noi siamo interessati al puro aspetto simbolico, e non cerchiamo confronti o discussioni in ostici aspetti teologici e dogmatici. 

      Ci si ricordi che ” Simbolo” non vuol dire immaginazione o fantasia, bensì “veicolo di collegamento” con una realtà tangibile ed importante, ma altrimenti inavvicinabile. Sia chiaro, il simbolo è ancora più potente e concreto della realtà solitamente definita tale. Il reale è sostenuto dal simbolico

          Leggeremo i tre fluidi AcquaVinoSangue da prima nella sequenza suddetta. Faremo l’ipotesi che si tratti di un ordine discendente, prima a destra, poi a sinistra. E' la discesa tipica dell'Età dei Pesci. Per cercarsi e per trovarsi, le anime la cui frequenza vibratoria è "Pesci" sono spesso costrette a scendere nelle profondità delle acque, in luoghi oscuri, pericolosi ed inospitali, nel regno delle Qlipot. Sono esperienze molto frequenti nelle dinamiche esistenziali dell’Eone cosmico iniziato 2000 anni fa: l’età dei Pesci. Questo lungo ciclo di tempo sta ora finendo. La rotta principale da esso tenuta lungo l'Albero della Vita, è stata in discesa! È una discesa iniziata a partire dalla Sapienza, per poi lasciare il lato degli Amori a destra per andare su quello dei Giudizi a sinistra. Dalla Sapienza-Acqua diventa Ghevurà-Vino. Ma il ciclo di discesa non è compiuto, e all'Ultima Cena avviene una discesa ulteriore, tutta lungo il braccio del Rigore: Da Ghevurà - Vino si scende ad Hod-Sangue. E nelle ore successive all'Ultima Cena sofferenza e sangue avrebbero poi dominato l'intero racconto.

           Questo è quanto avveniva duemila anni fa. Finalmente oggi, grazie anche all'inizio del rivelarsi degli infiniti della Torà, stiamo cambiando direzione. Possiamo finalmente vivere la sequenza inversa: la risalita dal basso, dal Sangue all’Acqua attraversando il Vino. Affermeremo che questa è la sfida che abbiamo davanti a noi nella nascente Età dell’Aquario. È il profondo compito da realizzare. In Cabalà questa ascesa è anche chiamata: “l’addolcimento delle forze di dura severità” (hamtaqat ha-dinim). Ma cerchiamo prima di comprendere meglio i tre fuidi che sono parte della metamorfosi. 


             L’Acqua rappresenta lo stato di Chesed, Grazia. In esso, non c’è peccato o trasgressione. C’è perdono, comprensione, giustificazione, sostegno, purificazione. Nell’Acqua ci sono trasparenza, purezza, leggerezza, umiltà. Tuttavia, l’Acqua è statica, passiva, di per sé non possiede un carattere forte e dinamico. Ecco che, alle nozze di Qanà, Gesù trasforma l’acqua in Vino. Questo significa risveglio della consapevolezza, eccitazione, ispirazione, alterazione. La consapevolezza si dinamizza, a tratti si agita, le inibizioni si sciolgono. Tuttavia, ben in accordo con la sua valenza dionisiaca, il Vino genera desiderio verso tante direzioni, diverse da quelle pure ed immacolate dell’Acqua. Ecco che la personalità si accende di passione, abbandona i freni e si rivolge al lato della Sinistra, il lato del Limite. Eccitata dalla percezione della sua libertà individuale, prima inibita, la personalità si dispone a superare e valicare i confini del lecito. Il Vino è il vettore verso la trasgressione.

               Ci sono diversi esempi biblici di ciò. Si prenda la storia di Noè, che pianta una vigna, beve del vino, e giace ubriaco nella sua tenda (Genesi 9, 21). Addirittura, si dice che i virgulti da lui piantati provenissero niente meno dallo stesso albero della conoscenza, che fu al centro del peccato di Adamo. È il primo racconto di un personaggio che si ubriaca. Fin qui nulla di grave, e secondo la Scrittura semplicemente il risultato di ciò fu che il figlio Cham “scoprì la sua nudità” (di Noè). In realtà, le tradizioni cabalistiche riportano che Noè si impegno in un’opera di alta magia, sostanzialmente ai confini tra lecito ed illecito. Per compierla meglio, alterò volutamente il proprio stato di coscienza. 

                Di profondo esempio è anche il racconto delle due figlie di Lot, che ubriacano il padre prima di unirsi a lui, convinte che la distruzione di Sodoma avesse annientato l’intero genere umano eccetto loro tre. Come si intuisce, in questi episodi il vino non è il fattore portante della trasgressione, ma un coadiuvante, un portale, attraversato il quale, il mondo dell’illecito diventa accessibile e praticabile. Nonostante l’ampia importanza e sacralità che il Vino ricopre nella vita ebraica, come in molte religioni antiche, un esame attento dei luoghi ove è menzionato nella Bibbia ebraica è significativo. Specie nei libri dei Profeti, il termine “yain” (Vino) compare quasi sempre vicino o insieme alla parola “shekar”, “bevanda intossicante” o “essere intossicati”, termine lungi dall’essere positivo. Ad esempio: Isaia (56, 12) in un brano di pesanti rimproveri rivolti ad Israele scrive: “loro dicono: venite, vi porterò del vino, ci riempiremo di bevanda intossicante, e domani sarà come oggi, e ancora più abbondante”…  Poco prima Isaia aveva chiamato questi personaggi che invitano ad ubriacarsi e ad illudersi di un buon futuro: “cani avidi, pastori che non capiscono”. Ammonimenti analoghi sono presenti in molti altri brani profetici.

                 Ci si rivolge al vino solo per indursi a piaceri esterni, o per stordirsi. Così facendo si perde di vista quale sia la propria vera situazione presente, e quali siano le direzioni da seguire per la crescita della consapevolezza. Si rimane bloccati nelle dinamiche involutive, nella ricerca di soddisfazioni che arrivano e svaniscono veloci. Tuttavia, la fase del Vino è solo intermedia nella discesa, e il superamento vero e proprio tra lecito e proibito si verifica solo dopo, proseguendo verso il basso lungo il canale successivo, a sinistra dell’Albero, il canale della lettera Peh. È il sentiero subito sotto della Dalet, sotto Ghevurà, che è il passaggio dal Vino al Sangue.

            Il Sangue è la vitalità della nostra parte animale. Come tale rappresenta istinti e desideri fisici. La componente animale dell’essere umano trova il suo apice nel fluido chiamato Sangue. Cibo, sesso, potere, caccia e lotta diventano i motori della vita. Quanta strada dallo stato dell’Acqua, nel quale a motivare la personalità è la visione della pacifica e serena trasparenza presente negli stati superiori dell’Essere! Nella condizione iniziale il nutrimento veniva dalla Manna celeste, pura e semplice energia divina (Manna,  Man, Mem – Nun, vale 90, come Maim, acqua). Il Sangue è forte, vuole la sua parte.  Ma ciò non significa che sia negativo. Non ci sarebbe riproduzione se non esistessero determinati istinti. Non ci sarebbe nemmeno la sopravvivenza.

               A livello del Sangue, il confronto e la lotta contro gli altri diventano inevitabili. La pace lascia posto alla guerra. Il Sangue ha un qualcosa di particolare rispetto agli altri sei fluidi: il fatto che non dovrebbe mai comparire all’esterno. Il suo apparire segnala qualcosa che non va, una ferita, una malattia, oppure, semplicemente, il sangue mestruale, la fine del periodo della fertilità. Nessuno contesta la necessità del ciclo femminile, che è indubbiamente un simbolo di rinnovamento, di ripristino delle condizioni iniziali che alla fine di un ciclo si fanno deboli. Queste righe hanno un semplice scopo di libere riflessioni simboliche e non sono legate ad un approccio filosofico, teologico, né hanno pretese di compiere un’indagine esauriente su questioni di purezza rituale.

          Un altro caso nel quale il Sangue appare all’esterno, è durante la macellazione degli animali. Se questa viene compiuta in un contesto sacrale, è un vero e proprio sacrificio espiatorio. In caso contrario, la stessa Bibbia, che pure da Noè in poi permette il cibarsi di carne, la identifica in varie occasioni come parallela all’avidità e alla passionalità pura. In ogni caso, dai tempi di Noè in poi, vige un precetto che proibisce il consumare sangue direttamente. Nella religione ebraica, oltre alla macellazione rituale, prima di venire consumata, la carne degli animali va dissanguata accuratamente. Il Sangue rappresenta la passione, il peccato e la trasgressione. Di modi per compiere tutto ciò ne esistono talmente tanti che non vale la pena di fare esempi. Sta di fatto che, secondo la fede cristiana, il sangue del Cristo viene versato proprio per espiare i peccati e le trasgressioni. Si noti l’identità del sostantivo “passione”, che indica sia dei forti desideri verso piaceri fisici, che l’apice di una sofferenza prolungata, spesso unita a vere e proprie torture. Il simile attira il simile.

             Tuttavia, qui ci vuole una osservazione. Può darsi che non a tutti faccia lo stesso effetto, ma l’autore di queste righe non si sente a proprio agio nel sapere che qualcuno, fosse pure il Figlio di Dio o il Messia, debba versare il proprio sangue ad espiazione dei peccati di qualcun altro. Egli preferirebbe un modo più personale per ottenere il perdono dei propri peccati, più diretto, forse più difficile, ma sicuramente più stimolante e creativo, più responsabilizzante. Ecco che qui, nasce l’ipotesi del cammino di ritorno. Ognuno di noi può diventare capace di lavare i propri peccati risalendo alle Acque, per immergersi in esse in un Mikvè (bagno di purificazione) totale.

            La Strada del Ritorno, la Teshuvà vera e propria, è lunga e complessa. La prima parte di questa Via ci riporta dal Sangue al Vino. Il Vino contiene dell’alcool, chiamato anche “spirito”. Il Vino della Via del ritorno è quello bevuto da Isacco nel momento in cui decise di benedire il figlio che aveva davanti (Genesi 27, 25-26):

             Ed egli (Giacobbe) gli andò vicino (al padre Isacco) ed egli (Isacco) mangiò; e gli portò del vino,
                                  ed egli bevve. E il padre Isacco gli disse: “Avvicinati e baciami, figlio “

            Quel Vino è un distillato di tutte le esperienze del proprio passato. È l’estratto spirituale (da “spirito”) di quanto imparato nel mondo del “sangue”. Anche le trasgressioni hanno qualcosa da insegnare all’individuo, fosse pure il semplice fatto che la sua sete di piacere non può ricevere soddisfazione nei luoghi dell’egoismo, della rivalità, dell’interesse, della gelosia. Spesso la motivazione che spinge nei luoghi proibiti è un semplice desiderio di Conoscenza, nella sua essenza non diverso da quello che spinse Eva all’albero proibito. Imparate le lezioni dateci dal Sangue, lungo la via del Ritorno  il Vino diventa l’eccitazione che si può provare sul sentiero della Santità. È Amore sacro, è l’avvicinarsi ai piaceri della vita con la consapevolezza aperta, capace di trasformare gli stimoli sensoriali in una vera e propria eccitazione dell’anima. È il fascino dei misteri, della creazione, dell’anima, delle Scritture. Questo Vino scalda il cuore, questo è il vino del quale parla il verso 15 del Salmo 104:

                                   “il vino riscalderà il cuore dell’essere umano..”


              Nel cammino di ritorno, la Teshuvà, il Vino ci accende d’amore verso il Divino. Si comprende che ciò che amiamo e desideriamo maggiormente è attualizzare la nostra immagine e somiglianza con D-o. Ed ecco che a questo punto si è pronti a riscoprire l’Acqua, le Acque superiori, quelle del Perdono, della Comprensione, della suprema Giustificazione. Dice il Sefer haTania: 

                                                 “Le acque fanno crescere ogni forma di piacere”.

È solo quando sono irrigate dalle Acque superiori che le gioie e le soddisfazioni della vita non si capovolgono, prima o poi, nel loro opposto. Ritornati alle Acque, oltre il battesimo del Fuoco, si è pronti a vivere la Pace cosmica e a portarla agli altri. L’Acqua del ritorno è felicità intensa e duratura. Essa ridiventa manna (maim = 90 = man) e nel suo nutrimento possiamo trovare in essa tutti gli altri gusti, quindi, una soddisfazione totale. Non così era per le Acque degli inizi, prima della discesa. Allora esse erano soltanto una condizione di purezza ma priva di gusto e di eccitazione, priva dell’amplificazione che solo il Vino e il Sangue possono insegnare.

Tutte queste considerazioni ci riportano al passaggio

                            Oneg – Nega, Nega – Oneg,    Piacere – Piaga, Piaga – Piacere

                                                                      נגע       ענג


studiato in altre pagine del nostro sito. Queste due parole hanno le stesse identiche tre lettere, però, in ordine diverso. Le possiamo associare alle tre fasi descritte prima parlando dei tre fluidi, che sono al centro del nostro articolo. Senza entrare nei profondi segreti delle singole lettere e dell’ordine col quale si susseguono, possiamo osservare che la lettera che subisce il maggior spostamento (dal primo posto passa al terzo) è la Ain. Il suo valore è 70, proprio come “vino”, “yain”. Il suo significato, però, è anche “fonte, “sorgente”, quindi, quindi è una lettera legata all’acqua. Il “piacere” sta nel porre al primo posto della scala dei propri valori la “fonte”, che contiene il “vino” del “segreto (70)”, che l’aspetto spirituale di ogni cosa esistente. Come detto, i segreti della creazione, dell’anima e della Torà, sono il vero Vino, la vera fonte di eccitazione e di sano stordimento. Vissuti insieme alle Acque superiori, cioè ai campi delle consapevolezza rettificata, essi portano al massimo di ogni godimento. Ecco “’addolcimento delle forze del giudizio”.

                       Viceversa, la “piaga” (proprio come quelle che colpirono l’Egitto) consiste nel dover affrontare un lungo cammino, al termine del quale ci viene dato l’”occhio” aperto (un altro significato della Ain), che, finalmente, può riconoscere quale sia la vera Fonte dell’esistenza e di tutti i suoi meravigliosi segreti. Oneg è la “via del piacere”, il Mashiach ben David. Lungo tale via i piaceri sono vissuti con la piena purezza e consapevolezza dell’Occhio aperto. Piaceri e godimenti fanno così crescere ed evolvere. Nega è la “via della sofferenza”, il Mashiach ben Yosef, nella quale sono le pene e i dolori a far aprire l’Occhio, a far ritornare sulla Via. A quanto pare, in ognuno di noi c’è un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Tuttavia, l’enfasi che poniamo sull’una o sull’altra di queste due componenti è importante, se vogliamo comprendere quale sia la vibrazione principale che ispira la nostra vita. A grandi linee, la via della piaga era tipica dell’età dei Pesci, mentre quella del piacere caratterizza l’Età dell’Aquario. Ognuno di noi è davanti alla sua scelta. Il libero arbitrio consiste proprio in ciò: la Via che scegliamo sarà anche quella che ci verrà dato di percorrere. E la scelta è un fattore fondamentale, è il dono più grande che D-o ha posto nell’essere umano. A tutti l’augurio di fare la migliore delle scelte!

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