LA RABBIA – ROGHEZ

 Qual è la prima e più importante qualità per un cabalista? 

Verrebbe da dire: la Conoscenza, o l’Erudizione. Altri potrebbero dire: la Modestia, il Timor di D-o, la Generosità, l’Altruismo. Tutto vero, ma il grande Arizal, Rabbi Isaac (ben Solomon) Luria Ashkenazi (1534 – July 25, 1572), il maestro di tutta la Cabalà moderna, direbbe: la calma e il superamento di ogni istinto rabbioso, l’allontanarsi perfino da ogni forma di irritazione. Nell’opera del suo grande discepolo, Rabbi Chaim Vital (Shaar Ruach haKodesh, Drush 3, Kavanot HaEfer) si afferma testualmente che la rabbia è il peggiore di tutti i peccati. L’Arizal spiegava che mentre ogni altro peccato danneggia solo una certa area dell’anima dell’individuo, la rabbia la danneggia nella sua interezza.

 Basta un momento di rabbia in una giornata per perdere tutti i meriti eventualmente acquisiti nell’esercizio delle Mitzvot o delle opere buone. Nello spiegare come mai ciò sia vero, Chaim Vital si basa su di un verso del Levitico (cap 10) dove si narra che “Mosè si adirò contro Elazar e Itamar” (due dei figli di Aronne). Commentandolo, il Talmud (Pessachim 66) dice: “Anche se è un profeta, la  sua profezia lo lascerà”. In un altro brano sempre il Talmud afferma che l’adirarsi equivale a compiere un atto idolatrico. L’Arizal ammoniva i suoi studenti spiegando che per correggere un episodio di rabbia grave sarebbero stati necessari 151 giorni di digiuno. Chi non fosse in grado di sostenere delle prove fisiche così severe, dovrebbe dare denaro in beneficenza, per correggere i danni della rabbia.

 È un principio che vale per tutti, e ci si immagini quanto più importante sia per uno studente di Cabalà, che dovrebbe ben sapere la potenza della parola. Infatti, raramente capita di arrabbiarsi senza manifestarlo con voce minacciosa, insulti, o perfino parolacce (D-o non voglia!). Dato che ogni parola, pronuinciata o scritta, si tramuta subito in una forma d’onda di natura animica, lasciamo ai nostri amici e lettori immaginare come i danni dell’ira si possano estendere in ogni direzione, e quanto subdole e perniciose possa essere le loro conseguenze. Si rifletta su di un semplice fatto: quasi sempre la persona che si arrabbia crede di avere ragione e di fare bene. In qualunque caso, chi perde le staffe e passa alla voce grossa e agli insulti, o peggio, passa istanteneamente dalla parte del torto. In nessun caso la rabbia porta del merito.

Come guarire da cio? "Ma'asè Avot siman le bainm", "le azioni dei Padri sono un segno per i figli"

Applichiamo il detto precedente. Tra i molti esempi biblici di persone che hanno conquistato la tendenza al male che porta alla rabbia, citiamo in questo articolo Abramo e Sara. In Genesi cap. 12, si narra il famoso Lekh Lekhà, “Vai Vai”, l’esortazione che Abramo ricevette da D-o di lasciare la sua terra natale per mettersi in cammino verso un’altra terra, a lui spiritualmente più confacente. Il nome del luogo dal quale Abramo e Sara partirono alla volta della “terra che Io ti indicherò” si chiamava Charan.

חרן 

Pur se nati a Ur dei Caldei, nella parte meridionale della Mesopotamia, Abramo e Sara si erano spostati a vivere più a nord, a Charan, nell’odierno Kurdistan. Un verso prima del “Lekh Lekhà”, cioè a Genesi 11 32, si dice:

 “i giorni di Terach furono 205, ed egli morì a Charan”.

Terach era il padre di Abramo. Uno straordinario commento del Rashi a quel verso dice in breve che il nome Charan viene da Charon,

חרון

 Charon, “rabbia”. Charan era il luogo della “rabbia di D-o”. 

Noi interpretiamo ciò simbolicamente come se Charan sia lo stato della rabbia frequente, dell’iracondia, dello scontento, del brontolio. È l’irritazione continua provata di fronte alle difficoltà della vita, agli sgarbi degli altri, alle ingiustizie e alle violenze dei governo, o semplicemente si fronte a quella che sembra cattiva fortuna. È il costante attacco di bile mostrato dai personaggi mediatici, sia di un colore che dell’altro. È il pessimismo di fronte alle varie contingenze, economiche, politiche, militari.

 In breve, Charan è una condizione nella quale ci troviamo tutti quanti spesso e volentieri. Cosa ci insegnano Abramo e Sara? Prima di tutto a lasciare questa condizione per una terra diversa, una terra che D-o ci mostrerà, nella quale potremo diventare un “grande popolo”, cioè a mostrare tutte le nostre qualità di fertilità creativa.

 Ma fino a che non riusciremo a muoverci da Charan, Abramo e Sara ci insegnano un’altra cosa. Dai midrashim e da vari insegnamenti cabalistici compare un fatto straordinario, al quale questo articolo si limiterà a dare un accenno. Abramo e Sara erano rimasti senza figli per la massima parte del loro rapporto, era un qualcosa che li affliggeva tantissimo. Incidentalmente, si noti come questo loro destino di sterilità cambiò col loro arrivo nella Terra Promessa, non più il “luogo della rabbia divina”, come Charan, bensì la terra dove scorre il Latte e il Miele (due dei sette fluidi menzionati e spiegati in quest’altro articolo).

 Abramo e Sara si amavano moltissimo, oltre ad essere due maestri nella Sapienza Antica Universale. Da ogni loro rapporto intimo, anche se sterile dal punto di vista fisico, nasceva un’anima di un futuro tzaddik. Anche se non subito, nei secoli successivi quest’anima, o almeno una sua scintilla, si sarebbe poi incarnata in uno dei “figli di Abramo” (una categoria molto ampia), dando vita ad una persona non solo retta ma capace anche di insegnare agli altri le Vie del Signore, come già facevano Abramo e Sara. È un’idea immensa! Non solo D-o può creare le anima, ma anche i Grandi Tzaddikim, i Padri e le Madri di Israele!

 In breve, la grandezza di Abramo e Sara non stava soltanto nella loro capacità di trasformare un momento di intimità fisica nell’occasione di generare una durevole goccia di luce, che avrebbe poi in futuro illuminato l’umanità. E la cosa più straordinaria, che dovrebbe parlare a tutti noi, è che Abramo e Sara riuscivano a fare ciò mentre ancora erano a Charan, nel luogo della grande rabbia.

 Ultima osservazione, quando Abramò partì da Charan aveva 75 anni. 75 è la ghematria di Milà (scritto senza la Yud, come la grammatica lascia fare).

 מלה

 che significa sia “parola” che “circoncisione”, un ulteriore chiarissimo invito ad eliminare totalmente dal proprio linguaggio espressioni rabbiose, di disprezzo, epiteti ed insulti volgari. 

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